CROMOSOMA XX
Durata: Dal 21 maggio al 4 giugno 2020
Vernissage: Inaugurazione: venerdì 22 maggio ore 18.00
Indirizzo: Cad Via Chiabrera 7/2, 1° piano – 16123 GENOVA
Direzione artistica e curatela: Loredana Trestin
Assistente curatore: Maria Cristina Bianchi
Organizzazione: Ludovica Dagna, Erika Gravante, Anna Poddine,
Elisa Succio
Testo critico: Prof. Roberto Guerrini
Grafica e web: Anna Maria Ferrari, Art Director
Orario: dal lunedì al venerdì 14.00 18.00, il sabato su appuntamento
Presentazione a cura di Daniele Grosso Ferrando
Partecipano gli artisti:
Gloria Arzà • Josephine Curti • Calu Claudia Di Leonardo • Laura Longhitano • Francesca Fei • Patricia Glauser • Lilah Margar • Ludwika Pilat • Angela Sciutto • Janin Walte
Non sono riuscita, a nessuna età, ad accontentarmi di rimanere accanto al fuoco e semplicemente guardare quello che accadeva intorno. La vita va vissuta. La curiosità deve alimentare la vita. Nessuno deve, per qualsiasi motivo, girare le spalle all’esistenza. (Eleanor Roosevelt)
CROMOSOMA XX è il titolo della mostra di arte contemporanea che vedrà coinvolte esclusivamente donne artiste. Una carrellata di tematiche, viste al femminile, saranno esposte opere di vari stili eseguite con tecniche diverse spaziando dalla pittura alla scultura, dalla fotografia al digital e alle installazioni. E’ risaputo che il cosiddetto “sesso debole” pare possedere in realtà una sorta di “marcia in più”; ciò è comprovato anche dalla scienza che ha appurato che l’unicità della X dipende dal fatto che solo nella donna è presente in doppia copia (XX), mentre nell’uomo una sola X si accompagna al cromosoma Y (XY). Se una donna possiede un gene malfunzionante su una X, il difetto può essere compensato dall’altro; nell’uomo, invece, di X ce ne è una solamente, e se è alterata l’anomalia risulta subito evidente.
Il pensiero iniziale di Eleanor Roosvelt costituirà il filo conduttore dell’evento artistico e le partecipanti ne esterneranno il loro approccio attraverso la loro vita e la loro arte.
Loredana Trestin
DONNA?
Esergo, considerazioni a margine e auspicio
di Roberto Guerrini
– Un giornalista di una famosa rivista internazionale viene inviato in una terra lontana per effettuare un reportage. Appena giunto sul luogo è subito colpito dal passaggio di un uomo che, a cavallo di un asino, regge una corda al cui capo opposto è legata una donna che vi cammina dietro. Incuriosito, si avvicina all’uomo e chiede spiegazioni. L’uomo, interrogato sul perché della cosa, risponde semplicemente: «Usanza locale!». Poco dopo, il giornalista si imbatte in una scena molto simile alla precedente; un altro uomo che procede in groppa ad un asino ma, stavolta, la donna è legata davanti all’asino e procede innanzi. Incoraggiato dalla precedente nozione acquisita, il giornalista si avvicina all’uomo e gli chiede: «Usanza locale?…» e l’uomo, ancor più laconico del precedente: «No, campo minato!».
– Fu certamente la modernità ad inaugurare una necessaria ridiscussione del ruolo della donna nella società. In seguito, in epoche più vicine alla nostra, dopo il definitivo tramonto del tanto rivoluzionario, quanto elitario pensiero “femminista”, il mondo è tornato a più riprese ed in modo più globale a parlare ed argomentare su ciò che, per ora, è vanamente (anche) definita “l’altra metà del cielo”. E se ne parla abbastanza spesso e soprattutto in termini di par condicio. Certamente alcune cose sembrano essere migliorate, soprattutto per l’universo femminile occidentale, ma parlare di pari opportunità è, per il momento, quanto meno azzardato, se non del tutto ipocrita e falso. Almeno finquando esisteranno i vergognosi ed inequivocabili segni di una perdurante subalternità e secondarietà della donna nei confronti dell’uomo, sarebbe doveroso e rispettoso, almeno per onor del vero, parlare in modo meno entusiastico e trionfalistico del misconosciuto o fantasmatico “pianeta donna”. Ad esempio, finché esisteranno individui di sesso femminile costretti a lavorare, produrre, studiare e persino pensare con i tempi, i ritmi e i modi maschili, oltretutto percependo statisticamente remunerazioni percentualmente quasi sempre inferiori (o quando addirittura l’eventuale carriera è a monte preclusa), non è proprio il caso di sostenere che la donna è pari all’uomo; oppure finché esisteranno stupri, violenze e prevaricazioni di ogni genere, spesso impuniti o non punibili (quando non tacitamente giustificati); oppure continuerà lo sfruttamento della prostituzione che, pur non essendo esclusivamente femminile, certamente rappresenta un fenomeno di consumo praticamente ad appannaggio quasi esclusivo del solo maschio; o finché non verranno obbligatoriamente retribuiti i mestieri di mamma e/o casalinga, non si può certamente ancora parlare di parità dei diritti. E questa elencazione di casi potrebbe certamente continuare. Ma c’è di più. La questione non riguarda esclusivamente la manichea distinzione maschio/femmina e presuppone la volontà di provare a riorganizzare radicalmente una riflessione su tutto ciò che è sotteso alle sole, quanto evidenti, ragioni anatomiche e, forse, attitudinali. E’ la storia (sociale e spirituale) a sancire con precisione cosa si intenda con la parola uomo. Diverso è il discorso quando si parla di donna. Fuori da ogni ipocrisia sarebbero ormai maturi i tempi per non cedere più alle retoriche vigenti (perpetuate nel plurimillenario orientamento culturale) quando ci si appresta ad affrontare qualunque argomento riguardante la donna, già a partire dal termine stesso. La quasi totalità degli individui (sia maschi, che femmine, sia appartenenti al preteso e futuribile “terzo sesso”) sembrano certi circa il referente della parola-lemma donna. Se ne dà addirittura per scontato il pieno ed indipendente sviluppo in quanto entità antropologicamente, ontologicamente e spiritualmente compiuta. Purtroppo tutto o quasi tutto ciò che si intende con la parola donna è praticamente fondato su di un colossale equivoco. Quando si parla o si tenta di parlare (spesso a sproposito) di donna, in realtà non si sa quasi mai ciò che si dice. Infatti, ciò che a tutt’oggi (e, purtroppo, a tutte le latitudini terrestri) si intende significare con la parola donna, spesso altro non è che il costante e perdurante esito di una globale proiezione di cultura maschile e maschilista perpetuata dall’uomo su di uno schermo anatomicamente diverso dal suo. Non è possibile negarne l’evidenza. Certamente no, finché sarà il maschio a decidere direttamente o indirettamente come la donna debba apparire, comportarsi, pensare, godere, divertirsi, coprirsi, vestirsi o svestirsi; ecc. ecc. Ad esempio, finché vi saranno religioni, chiese ed ideologie, totalmente maschili e maschiliste, ad occuparsi di cosa deve o non deve fare la donna; finché esisteranno donne non libere di scegliere il proprio marito, ma costrette a subirne l’imposizione attraverso contratti ed accordi definiti e decisi spesso addirittura a loro insaputa; finché vi sarà spazio per prototipi maschili di femmine stupide che, pur di assecondare l’uomo e le sue “esigenze”, mettono a repentaglio le poche e rare conquiste femminili strappate attraverso una durissima e faticosissima lotta di conquista ed emancipazione; finché esisteranno misteriose femmine in grado di concedere opportunità erotiche e sessuali persino al moralmente più meschino degli uomini; finché i figli, benché educati dalla madre, continueranno ad assomigliare al padre e con tanto di entusiastica benedizione; finché sarà il vigente pensiero (maschio, maschile e maschilista) a dominare anche le donne sedicenti o sè-pensanti emancipate e libere; perfino, finché esisteranno tànga, pornografia, vallette e veline o finché la pillola anticoncezionale (nonostante i progressi della scienza) continuerà a costituire un prodotto di consumo quasi esclusivamente femminile. Per questi e chissà per quanti e quali altri motivi ancora, non è onestamente corretto parlare di donna alludendo ad un’identità pienamente sostanziata, fiorita, svelata ed esposta e che invece ancora non esiste. Forse, lo sforzo definitivo per iniziare ad intraprendere un vero cammino per il pieno riconoscimento e il rispetto della donna, passa anche attraverso la volontà di analizzare la realtà delle cose attraverso, finalmente, un’ottica realmente inedita ed “altra” rispetto a quanto le culture (praticamente tutte) hanno da sempre ed immutabilmente stabilito.
– Questa puntuale e, a mio parere, anche importante lezione specifica e dedicata di Daniele Grosso, pur misurandosi soprattutto con la ricostruzione dei fatti storici ed epocali che hanno riguardato le protagoniste da lui analizzate, finisce con il delineare, anche attraverso le pieghe delle scelte biografiche fatte e proposte, il tentativo di contribuire a gettare uno sguardo diverso ed alternativo, se non del tutto nuovo, nell’arte declinata al femminile e nella specificità di spiritualità talvolta inedite che, faticosamente, prova a far emergere dalle incrostazioni di una storia e di uno spirito prettamente, largamente ed innegabilmente dominati dal “genere” maschile ed in maschilista.